Eppure dovrebbe essere facile vivere. Certo, vivere non è la stessa cosa che esistere (un cagnolino non è la stessa cosa di un sasso) e vivere da uomini non è la stessa cosa che vivere e basta (la dimensione della coscienza è irriducibile alla semplice combinazione di molecole e atomi).
E tuttavia vivere, e vivere da uomini, dovrebbe essere facile. Dovrebbe essere un gesto spontaneo, un “ex-sistere” che fluisce con naturalezza dalla profondità del nostro essere. Una volta si usava parlare della “spensieratezza” della gioventù, e mi rendo conto adesso che forse questa espressione alludeva proprio alla facilità con la quale nell’età della adolescenza la vita di viene incontro, offrendoti occasioni e situazioni che, pur essendo sempre uguali, ti fanno sentire come se fossi tu il primo al mondo a sperimentarle: il primo amore, il primo bacio, il primo bisticcio con i genitori, il primo amico del cuore, il primo tradimento, la prima rottura con la ragazza o il ragazzo…. Quando la vita è fresca e nuova, insomma.
Non so se dipende solo dall’età (la mia, intendo), ma oggi tutto mi sembra pesante. Come si può andare lieti incontro alla vita se a ogni piè sospinto incontri un Putin che freddamente scatena una guerra inutile alle porte di casa tua, o quella banda di terroristi religioso-politici di Hamas ammazza a sangue freddo mille persone per scatenare apposta l’inevitabile reazione di Israele, sapendo che tale reazione porterà decine di migliaia di morti tra la propria gente, solo per tornare a essere una pedina politica importante, o la serie infinita dei femminicidi (tutti a opera di ex o addirittura di mariti e fidanzati in carica, ossia di persone di cui in teoria hai avuto e hai una storia d’amore, quindi di fiducia e di abbandono), o la intollerabile disuguaglianza sociale generata dal neoliberismo con la scusa della libertà di impresa, per non parlare della quasi certezza della distruzione dell’ambiente e del surriscaldamento della terra…
I miei studenti leggono pochissimo e sanno pochissimo del mondo: mi chiedo però se in fondo non hanno ragione loro.
Forse l’unica strada sarebbe quella di un reset totale dell’umanità, nel senso di un oblio totale delle brutture di cui si è dimostrata capace, nella speranza che riemerga un “fondo naturale” (una “essenza” avrebbero detto una volta) di bontà, o almeno di disponibilità al bene.
Tornare a Rousseau quindi? Ti vedo storcere il naso, e ti capisco. Ci abbiamo già provato, e non ha funzionato: perché mai dovrebbe funzionare adesso? Il fatto che scriva queste righe dà la misura della situazione.
La teologia cattolica, tanto vituperata, ha uno strumento concettuale adatto almeno per pensare la situazione attuale: quello di “peccato originale”. Esso sta a significare che l’uomo è libero e ha la “possibilità” di fare il male. Non è intrinsecamente cattivo (come diceva Hobbes, per esempio, con la sua sopravvalutata teoria del “bellum omnium contra omnes” originaria) e quindi non è condannato a fare il male. Però non è neanche intrinsecamente buono, e quindi non basta liberarlo dai condizionamenti della società perché faccia automaticamente il bene. Si trova invece in una situazione intermedia: sembra una soluzione di comodo, una banalità di buon senso, una medietas che non è né carne ne pesce, eppure è esattamente quello che siamo.